Scrive Marco Travaglio nel suo libro "La scomparsa dei fatti", a pag. 209
"Chi racconta fatti veri dev'essere al riparo da ogni conseguenza penale e civile. Chi racconta il falso deve avere la possibilità di riparare subito con rettifiche proporzionate al danno cagionato ai diffamati: se è in buona fede, lo farà; se è in mala fede non lo farà e allora dovrà essere radiato dalla professione, impossibilitato a mentire, condannato duramente per diffamazione e obbligato a pubblicare la sentenza che lo sbugiarda con la stessa evidenza che aveva il suo falso. In tutti i casi, saranno i fatti a trionfare. Ma interessano ancora a qualcuno i fatti?"
I giornalisti, o come si usa chiamarli oggi, gli operatori dell'informazione, dovrebbero interrogarsi su questo quesito: interessa loro raccontare i fatti? E fino a che punto essi si mettono in gioco per far trionfare la verità attraverso l'esposizione reale dei fatti?
Il giornalista si chiede se rispetta il fruitore della sua informazione?
Noi crediamo proprio di no. Travaglio nel suo libro ci presenta lo stato dell'informazione in Italia, che salvo rare eccezioni, risulta svuotata di contenuti, menzognera, corrotta, mercenaria.
Siamo d'accordo con Travaglio, il quale scrive anche: "C'è chi nasconde i fatti perché è nato servo e, come diceva V. Hugo, "c'è gente che pagherebbe per vendersi".
In queste affermazioni di Travaglio la critica all'informazione- disjnformatia è supportata da fatti reali, da documentazioni, cifre, dati, inoppugnabili.
Travaglio mette il dito nella piaga e fa vergognare i giornalisti o quelli che si credono tali. O che si fanno chiamare così.
Si vergogneranno, poi? Difficile dirlo. Per vergognarsi è necessario avere una coscienza,una deontologia professionale. Necessita capire da che parte si sta. E dov'è l'errore.
Una cosa è certa. Siamo lontani mille anni luce da ciò che affermò Anna Politkovskaja, giornalista che nei fatti ci sguazzava talmente tanto dal perderci la vita: "Sono sicura di voler far qualcosa per le altre persone usando il giornalismo, ecco tutto."
"Chi racconta fatti veri dev'essere al riparo da ogni conseguenza penale e civile. Chi racconta il falso deve avere la possibilità di riparare subito con rettifiche proporzionate al danno cagionato ai diffamati: se è in buona fede, lo farà; se è in mala fede non lo farà e allora dovrà essere radiato dalla professione, impossibilitato a mentire, condannato duramente per diffamazione e obbligato a pubblicare la sentenza che lo sbugiarda con la stessa evidenza che aveva il suo falso. In tutti i casi, saranno i fatti a trionfare. Ma interessano ancora a qualcuno i fatti?"
I giornalisti, o come si usa chiamarli oggi, gli operatori dell'informazione, dovrebbero interrogarsi su questo quesito: interessa loro raccontare i fatti? E fino a che punto essi si mettono in gioco per far trionfare la verità attraverso l'esposizione reale dei fatti?
Il giornalista si chiede se rispetta il fruitore della sua informazione?
Noi crediamo proprio di no. Travaglio nel suo libro ci presenta lo stato dell'informazione in Italia, che salvo rare eccezioni, risulta svuotata di contenuti, menzognera, corrotta, mercenaria.
Siamo d'accordo con Travaglio, il quale scrive anche: "C'è chi nasconde i fatti perché è nato servo e, come diceva V. Hugo, "c'è gente che pagherebbe per vendersi".
In queste affermazioni di Travaglio la critica all'informazione- disjnformatia è supportata da fatti reali, da documentazioni, cifre, dati, inoppugnabili.
Travaglio mette il dito nella piaga e fa vergognare i giornalisti o quelli che si credono tali. O che si fanno chiamare così.
Si vergogneranno, poi? Difficile dirlo. Per vergognarsi è necessario avere una coscienza,una deontologia professionale. Necessita capire da che parte si sta. E dov'è l'errore.
Una cosa è certa. Siamo lontani mille anni luce da ciò che affermò Anna Politkovskaja, giornalista che nei fatti ci sguazzava talmente tanto dal perderci la vita: "Sono sicura di voler far qualcosa per le altre persone usando il giornalismo, ecco tutto."
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